La messa alla prova non è applicabile alla disciplina della responsabilità degli enti prevista dal D.Lgs. 231/2001.

Risolvendo il contrasto giurisprudenziale insorto tra la giurisprudenza di merito e le sezioni semplici la Corte di Cassazione penale, a Sezioni Unite – con sentenza n. 14840 pubblicata il 06.04.2023 – ha chiarito che l’istituto dell’ammissione alla prova ex art. 168-bis c.p. non trova applicazione alla disciplina della responsabilità degli enti prevista dal D.Lgs. 231/2001.

 

Come noto l’istituto della messa alla prova, originariamente previsto per il solo processo minorile, è stato esteso anche agli imputati ordinari dall’art. 168-bis c.p., in forza del quale: “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova”.

 

Nelle motivazioni della citata sentenza resa dalla Cassazione a Sezioni Unite si legge che: “Le norme relative alla messa alla prova non contengono alcun riferimento agli “enti” quali possibili soggetti destinatari di esse e neppure le norme del D.Lgs. n. 231 del 2001, sebbene introdotte antecedentemente a quelle disciplinanti l’istituto della messa alla prova per gli imputati maggiorenni, contengono agganci o richiami deponenti per l’immediata applicabilità dell’istituto di più recente introduzione agli enti.  Gli artt. 34 e 35 del D.Lgs. n. 231 del 2001, infatti, nel dettare le disposizioni generali sul procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato, oltre a prevedere l’osservanza delle norme specificamente dettate dal decreto, contengono un richiamo esclusivamente alle disposizioni del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili”.

 

La Suprema Corte ha osservato che l’applicazione “estensiva” dell’istituto della messa alla prova agli enti ha fatto registrare negli ultimi anni decisioni contrastanti: a fronte di alcune pronunce ostative all’ammissione dell’ente alla prova (v. Trib. Milano, 27.03.2017; Trib. Bologna, 10.12.2020; Trib. Spoleto, 21.04.2021), altre pronunce si sono invece espresse favorevolmente (v. Trib. Modena, 19.10.2020; Trib. Bari, 22.06.2022).

 

Le pronunce che negavano tale ammissibilità si sono fondate su argomentazioni quali il fatto che “la sospensione del procedimento con messa alla prova si manifesti, dal punto di vista afflittivo, attraverso lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, rientrante a pieno titolo nella categoria delle sanzioni penali, ma, in assenza – de jure condito – di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui all’art. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, deriva che l’istituto in esame, in ossequio al principio della riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti e, quindi, alle società in relazione alla responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231 del 2001” (così Trib. Milano, 27.03.2017).  È stato altresì evidenziato come: “vi è incompatibilità strutturale tra la disciplina della messa alla prova e quella della responsabilità amministrativa degli enti, connotate da ratio diverse, inconciliabili negli aspetti sostanziali ed anche processuali. L’art. 168-bis c.p. modellato sulla figura dell’imputato persona fisica, in un’ottica, non soltanto special-preventiva, riparativa e conciliativa, ma soprattutto rieducativa, non è applicabile all’ente, con la conseguenza che deve ritenersi indebita l’estensione della sospensione del procedimento con messa alla prova all’ente, in quanto si rischierebbe di introdurre, per via giurisprudenziale, un nuovo istituto del quale lo stesso giudice sarebbe chiamato a declinare i presupposti sostanziali e processuali” (così Trib. Bologna, 10.12.2020).

 

Le pronunce favorevoli all’ammissione alla prova dell’ente hanno invece osservato che “l’ammissibilità dell’ente alla sospensione del procedimento con messa alla prova è subordinata al possesso di un imprescindibile prerequisito da parte della società, ovvero l’essersi la stessa dotata, prima del fatto di un modello organizzativo valutato inidoneo dal giudice, poiché solo in questo caso sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura rieducazione dell’ente, che dimostrerebbe così di essere stato diligente e di aver adottato un modello ritagliato sulle proprie esigenze specifiche per quanto valutato non idoneo dal giudice” (così Trib. Modena, 19.10.2020).

 

A fronte di tale evidente contrasto, le Sezioni Unite hanno fornito un’interpretazione favorevole all’orientamento ostativo, privilegiando un’impostazione più restrittiva e che privilegia il dato testuale delle norme citate, giungendo alla conclusione per cui l’istituto della messa alla prova non può essere applicato agli enti in relazione alla responsabilità amministrativa dipendente da reato in quanto “la responsabilità amministrativa dell’ente deve ritenersi concettualmente inquadrabile in un tertium genus, alla stregua dei principi condivisibilmente sanciti dalla sentenza Espenhahn, la messa alla prova ex art. 168-bis c.p. deve, invece, inquadrarsi nell’ambito di un ‘trattamento sanzionatorio’ penale”.  In virtù di tale premessa concettuale le Sezioni Unite hanno quindi concluso che: “l’istituto della messa alla prova non può essere applicato agli enti, a ciò ostando, innanzitutto, il principio di riserva di legge, di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione”.

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