I PFAS sono composti chimici industriali utilizzati per rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. Sono usati nella produzione di molti oggetti di uso quotidiano come padelle di teflon, carta da forno sbiancata, packaging per fast food, abbigliamento impermeabile e lubrificanti.
Si tratta di sostanze che rappresentano un potenziale pericolo sia per la salute umana che per l’ambiente, sono catalogate nelle liste internazionali di sostanze estremamente preoccupanti perché tossiche, persistenti e bio-accumulabili cioè il nostro corpo le integra e le accumula.
In Veneto il problema dei PFAS è particolarmente sentito a seguito del caso Miteni, allorquando venne scoperta, nella primavera del 2013, una grave dispersione nelle acque potabili, di falda e superficiali in tre provincie del Veneto (Padova, Verona e Vicenza) e in una trentina di comuni, di sostanze appartenenti al gruppo dei tensioattivi perfluorurati (i PFAS) che provenivano, per l’appunto, dallo stabilimento di questa società.
Questo ha spinto il Consiglio dei Ministri, nel mese di marzo 2018, a dichiarare lo stato di emergenza con il divieto di consumo di acqua potabile e l’istituzione di una zona rossa, in cui sono stati inseriti 30 Comuni.
La Regione del Veneto, dal canto suo, ha adottato una serie di provvedimenti per contrastare gli effetti nocivi dei PFAS con l’obiettivo di abbatterli sia a monte che a valle. In particolare, agli inizi del 2018 sono stati fissati dei limiti allo scarico per le sostanze PFAS per le società che si occupano di riciclaggio e smaltimento di rifiuti.
Fin da subito si è ravvisata una notevole difficoltà di provvedere alla corretta individuazione dei valori limite in quanto non vi erano disposizioni normative nazionali nè BAT che li determinassero.
I valori limite erano quindi individuati assumendo come riferimento:
– il d.lgs. 13.10.2015, n. 172 “Attuazione della direttiva 2013/39/UE, che modifica le direttive 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque”;
– il parere dell’Istituto Superiore di Sanità n. 9818 del 08.04.2016 che individua i valori limite di performance tecnologica per le sostanze PFAS per gli scarichi in corpi idrici;
– il decreto del Direttore della Direzione della Difesa del Suolo del 27/12/2017, n. 501 che regolamenta i parametro PFAS per lo scarico del Consorzio A.Ri.C.A (Aziende Riunite Collettore Acque che raccoglie le acque reflue urbane depurate degli impianti di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello Vicentino e Lonigo ubicati in provincia di Vicenza).
La Regione del Veneto ha quindi deciso di procedere d’ufficio al riesame di tutte le Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA) rilasciate ai gestori degli impianti di riciclaggio per poter esercitare la loro attività inserendo, tra le prescrizioni da rispettare, i valori limite per i PFAS come sopra individuati.
La decisione della Regione ha suscitato notevoli malumori tra gli addetti ai lavori, i quali si sono trovati costretti a sperimentare dei sistemi di trattamento dei rifiuti con tecnologie che non forniscono risultati certi nell’azione di riciclaggio e, soprattutto, di cui non è possibile pianificare i costi, valutando se l’attività sia economicamente sostenibile o meno.
Questo ha portato i gestori degli impianti di riciclaggio e smaltimento a proporre una serie di ricorsi avanti al TAR Veneto per chiedere l’annullamento dei provvedimenti reginali di riesame dell’AIA.
Le prime sentenze si sono pronunciate a favore della scelta della Regione (TAR Veneto, sent. 01.07.2022 n. 1127; TAR Veneto, sent. 10.10.2022 n. 1518), sostenendo che la procedura di riesame dell’AIA attivata dalla Regione fosse legittima in quanto l’art. 29 octies co. 4 del T.U.A. “non contempla un elenco tassativo dei casi di riesame, ma – in armonia con la disciplina eurounitaria di cui la norma costituisce attuazione – individua solo quelli in cui esso è obbligatorio” infatti “l’autorizzazione integrata ambientale può essere modificata ogni volta in cui risulti la necessità – anche in applicazione dei principi di prevenzione e di precauzione – di introdurre misure di tutela”.
Ad una prima sommaria lettura, quanto statuito dal TAR Veneto non sarebbe in linea con l’insegnamento del Consiglio di Stato (sent. 25.07.2022, n. 6513), il quale ha espressamente indicato che i casi di riesame dell’AIA siano tassativi. Infatti, l’AIA è soggetta necessariamente alle regole e alle prescrizioni esistenti al momento della sua adozione e nuovi indirizzi possono “venire in rilievo solo in occasione del primo rinnovo o riesame, da compiersi nei casi tassativi di cui all’art. 29-octies del decreto legislativo n. 152/2006”
Indipendentemente dalle considerazioni svolte in sede di giudizio, è opportuno svolgere qualche riflessione sul caso:
1) la soluzione di procedere al riesame delle AIA degli impianti che si occupano del trattamento dei rifiuti tenta di dare una soluzione al problema dei PFAS solamente a valle, quando, invece, la questione dovrebbe essere affrontata a monte e comunque lungo tutta la filiera che porta all’immissione nelle acque delle sostanze perfluoroalchiliche. Non si ritiene quindi che la soluzione individuata in via amministrativa dalla Regione Veneto sia la migliore possibile per risolvere l’annosa questione che affligge alcune province del suo territorio. Probabilmente sarebbe stato meglio affrontare il problema per via legislativa, introducendo dei valori limite per lo scarico dei PFAS che riguardino in generale tutte le acque superficiali e le reti fognarie, coinvolgendo quindi tutti i soggetti che si occupano della lavorazione di queste sostanze, come ha fatto la Regione Piemonte con la legge n. 25 del 2021 (art. 74);
2) la questione PFAS ha carattere quantomeno nazionale se non addirittura europeo. Per questo sarebbe utile che le disposizioni normative in merito fossero adottate dal legislatore eurounitario o, almeno, da quello nazionale. Infatti, quand’anche la Regione del Veneto prevedesse con legge dei limiti allo scarico delle sostanze PFAS, i produttori potrebbero conferirle in impianti di depurazione presenti in altre Regioni, eludendo così il limite territoriale ma non risolvendo il problema dell’inquinamento. In realtà, nel settembre del 2021 era stato presentato il disegno di legge n. 2392 avente ad oggetto l’adozione di misure urgenti per la riduzione dell’inquinamento da PFAS, ma la fine anticipata della legislatura ne ha interrotto l’iter parlamentare.
In conclusione, pur condividendo la necessità di regolamentare l’immissione dei PFAS nelle acque, si ritiene che la il riesame delle AIA disposto dalla Regione Veneto probabilmente non sia la soluzione migliore.