Confisca del denaro costituente prezzo o profitto del reato art. 240.

Corte di Cassazione: confisca del denaro costituente prezzo o profitto del reato • art. 240


Cass. pen., Sezioni Unite, 27 maggio 2021 (dep. 18 novembre 2021) n. 42415

Con la recente sentenza n. 42415 del 27 maggio 2021 (dep. 18 novembre 2021) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno fatto chiarezza su una questione particolarmente dibattuta in giurisprudenza in tema di confisca di denaro costituente prezzo o profitto del reato, rispondendo, nello specifico, all’interrogativo «se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da titolo lecito».

Prima di analizzare il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nel suo massimo consesso appare tuttavia opportuno svolgere alcuni brevi cenni in materia di misure di sicurezza e in particolare di confisca.

La confisca quale misura di sicurezza patrimoniale è disciplinata dall’art. 240 del codice penale e, come misura ablativa giustificata dalla pericolosità derivante dalla disponibilità di cose servite o destinate a commettere il reato, ovvero delle cose che ne sono il prodotto o il profitto, ha lo scopo sostanzialmente cautelare di impedire la commissione di ulteriori reati.

La citata norma distingue, inoltre, tra le ipotesi di confisca c.d. facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) e quelle di confisca c.d. obbligatoria  (art. 240, comma 2, c.p.).

Con riferimento alla confisca c.d. facoltativa, la disposizione statuisce che il giudice “può” procedere all’applicazione di tale forma di misura di sicurezza nel caso ricorrano i seguenti presupposti:

  • in primo luogo, l’esistenza di una pronuncia di condanna (cui viene equiparata la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti);
  • dal punto di vista oggettivo, il codice statuisce l’applicabilità della confisca alla res che deve essere servita od essere stata destinata a commettere il reato ovvero deve costituirne il prodotto (cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita) od il profitto (cioè il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione di esso);
  • Quanto al requisito soggettivo, il bene oggetto di confisca non deve appartenere a persona estranea al reato.

Quanto alla disciplina della confisca obbligatoria giova sottolineare come, ai sensi dell’art. 240, comma 2, c.p., il giudice “deve” deve obbligatoriamente ordinare la confisca “delle cose che costituiscono il prezzo del reato” e delle cose “la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce reato, e, diversamente dalla confisca facoltativa, non risulta necessaria la pronuncia di una sentenza di condanna.

Si evidenzia come il prezzo del reato sia rappresentato dal compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e come, anche per l’applicabilità della confisca obbligatoria, il bene da confiscare non debba appartenere a persona estranea al reato qualora si tratti del prezzo del reato; ove, invece, riguardi cosa la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione della quale costituisce reato, la misura risulterà inapplicabile allorché la res appartenga a persona estranea al reato e sia suscettibile di regolarizzazione amministrativa.

Entrambe le ipotesi di confisca non devono essere necessariamente essere precedute da un provvedimento cautelare reale quale un eventuale sequestro.

Ritornando ora ad analizzare la questione sottoposta alla trattazione delle Sezioni Unite e relativa ai limiti entro i quali è possibile procedere alla confisca diretta di somme di denaro giacenti su conto corrente bancario e che rappresentino il prezzo o profitto del reato nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova che il denaro vincolato a fini di confisca derivi da un titolo lecito, si evidenzia fin d’ora il principio di diritto affermato nella pronuncia oggetto di esame e riportato di seguito: 

«Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerarlo oggetto di ablazione».

Partendo dall’analisi delle varie pronunce di legittimità che hanno, nel tempo, concorso ad individuare il perimetro della confisca diretta del prezzo e del profitto del reato consistente in una somma di denaro, la Cassazione si sofferma sulla pronuncia delle Sezioni Unite, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, secondo cui, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto ha la disponibilità, debba essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessiti della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato.

L’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite si è reso tuttavia necessario in quanto i principi di diritto affermati dalle più recenti sentenze delle Sezioni unite, ed in particolare dalla citata Sez. U, Lucci, sono stati posti in discussione da talune decisioni che la Corte di Cassazione ha reso in ordine a fattispecie caratterizzate a vario titolo dalla particolarità del fatto concreto o dalla specifica natura dei reati contestati.

Le Sezioni Unite, pertanto, in un’ottica di continuità con il principio di diritto affermato, in tema di sequestro a fini di confisca diretta del prezzo o profitto monetario del reato, dalle Sezioni  Unite, Lucci, ribadiscono come, ai fini della confisca diretta del pretium delicti rappresentato da una somma di denaro, sia indifferente l’identità fisica del numerario oggetto di ablazione rispetto a quello illecitamente conseguito.

Conseguentemente, la somma di denaro che ha costituito il prezzo o il profitto del reato non va dunque considerata nella sua fisica consistenza, ma nella sua ontologica essenza di bene fungibile e paradigma di valore. Se il prezzo o il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro, essa si confonde con le altre componenti del patrimonio del reo e perde perciò stesso ogni giuridico rilievo la sua identificabilità fisica.

Lo scopo della misura, sostiene la Corte di Cassazione, non è, infatti, di ritrovare sul conto corrente del reo le stesse banconote ab origine costituenti il prezzo o il profitto del reato, ma di realizzare l’ablazione della somma che sia già entrata nel patrimonio dell’autore a causa della commissione dell’illecito ed ivi sia ancora rinvenibile.

Ne consegue pertanto che, affinché il prezzo o il profitto monetari possano essere soggetti ad ablazione diretta, è necessario che il loro effettivo conseguimento da parte del reo (ed il relativo accrescimento patrimoniale) sia provato secondo gli ordinari standard probatori, previsti, dapprima, per l’eventuale adozione della cautela reale e, poi, in termini di certezza processuale, per la confisca.

Sottolinea infatti la Corte come, qualora il nesso di diretta derivazione dal reato dovesse essere unicamente riferito alla somma di denaro fisicamente conseguita dal reo o, al più, esteso a quella risultante in via immediata dalla sua trasformazione tracciabile, la confisca diretta del denaro sarebbe limitata a rarissime e del tutto marginali ipotesi.

iscriviti alla nostra newsletter

TOP NEWS

Notizie recenti