La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 21888 del 09.10.2020, è nuovamente intervenuta con riferimento al tema dell’ampiezza del potere di controllo del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti.
Il caso riguarda un lavoratore dipendente di Poste Italiane S.p.A. licenziato per scarsa diligenza e per una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento della sua attività, il quale lamentava l’inosservanza dell’art. 3 della legge n. 300 del 1970 – secondo cui i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori interessati – per essere state le sue mancanze disciplinari accertate attraverso l’indagine di preposti nella struttura gerarchica dell’impresa (nello specifico di un superiore gerarchico e di un componente dell’Ufficio Ispettivo), non indicati tra gli addetti alla vigilanza dell’attività lavorativa.
La Corte, dopo aver ribadito che l’imprenditore per la tutela del patrimonio aziendale può ricorrere alla collaborazione di altri soggetti (come una agenzia investigativa) seppur diversi dalle guardie giurate, ha confermato il potere del datore di lavoro di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative, e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c. direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica conosciuta dai dipendenti (principio già espresso con Cass. n. 15094 del 2018).
In quest’ultimo caso, la Suprema Corte ha chiarito che il potere dell’imprenditore sussiste indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza la necessità di alcuna preventiva comunicazione.